“Magnifico, comincia con un terremoto…” – REM
Dal momento in cui Google ha annunciato che avrebbe disapprovato l’uso di cookie di terza parte in Chrome entro i due anni successivi, ho avuto per la testa il successo a tema apocalittico dei REM “It’s the End of the World as We Know It”. Non perché penso davvero che la fine del mondo sia prossima, ma perché all’annuncio sono seguiti il panico per un’“Apocalisse dei cookie” che potrebbe distruggere il digital advertising e minacciare il futuro dello stesso open Internet. In realtà, Google aveva già segnalato fin dall’agosto del 2019 che stavano progettando questi cambiamenti. Ecco perché non si tratta proprio di un terremoto.
Secondo me è più scioccante che nel settore non esista una reale coerenza di risposte, principalmente sul perché avvenga questa transizione e su cosa significhi. Il fatto che manchino due anni ai cambiamenti, e che molti dettagli non siano ancora definiti, non aiuta certo a superare la confusione.
Voglio sfatare alcune voci sull’Apocalisse dei cookie condividendo tre verità che mi sembra siano state mal interpretate dagli utenti del cyberspazio.
Verità N° 1: Non tutti i cookie spariranno
Gli annunci di Google interessano solo i cookie di terza parte, quindi quelli di prima parte saranno attivi a lungo anche dopo il termine dei due anni. I cookie di prima parte sono quelli inviati a un browser dal sito visitato da un utente. Servono a inserzionisti, retailer ed editori per conoscere i loro clienti e per offrire loro la migliore esperienza utente dei siti che gestiscono.
Un sito Web moderno riunisce contenuti di diversa origine. Ad esempio, le notizie e il meteo possono venire da fornitori terzi. Questi siti Web collaborano con partner tecnologici che li aiutano a offrire pubblicità rilevanti di prodotti e servizi a utenti finali con maggiori probabilità di essere interessati. A questo scopo, inseriscono cookie di terza parte, utili a riconoscere gli utenti sui diversi siti Web, allo scopo di comprenderne e di personalizzarne le esperienze, presentando loro contenuti e pubblicità rilevanti caratterizzate da raccomandazioni pertinenti.
La rimozione dei cookie di terza parte avrà conseguenze indesiderate. Ad esempio, funzioni come single-sign-on (SSO) in molti form non funzioneranno più, quindi potrebbe non essere più possibile utilizzare i propri account di social media per accedere senza interruzioni a più siti. Anche il settore della pubblicità farà un passo indietro per quanto riguarda l’attribuzione, e cioè molti inserzionisti non saranno più in grado di tracciare il ritorno sugli investimenti (ROI) e potrebbero avere difficoltà a giustificare l’investimento nei media non collegati a una vendita (o a una conversione, per dirla con la lingua del marketing). Torneremo ai giorni delle supposizioni rispetto a quelli delle definizioni precise, come se vivessimo nuovamente ai tempi in cui il pioniere del retail, John Wanamaker, pare abbia detto: “metà del denaro che spendo per pubblicità è buttato; il problema è che non so quale metà”.
A questo punto abbiamo più domande che risposte, dal momento che una soluzione fattibile per questi problemi deve ancora essere discussa dalla comunità.
Verità N° 2: La pubblicità sull’open Internet può non essere perfetta, ma è molto più privata di quanto si pensi
Nel blog post dell’annuncio di Google, l’autore e direttore di Chrome engineering, Justin Schuh, afferma che la rimozione di cookie di terza parte ha come scopo la “creazione di un Web più privato”. Non è così semplice. I cookie di terza parte, infatti, non rivelano Informazioni personali identificabili (PII) a parti esterne, contro la volontà dell’utente. In pratica, gli utenti dell’open Internet vengono identificati mediante un identificatore casuale e le loro PII sono sottoposte a un processo di hashing e di codifica, in modo che i partner tecnici e della pubblicità possono accedere unicamente a interessi e comportamenti di utenti non specificati.
L’eccezione a questo anonimato si verifica in ambienti protetti (i cosiddetti “walled garden”) che raccolgono e memorizzano informazioni personali, quali relazioni personali e amici, cronologie di ricerca e di acquisto e persino opinioni politiche. In teoria, questi dati personali dovrebbero restare confinati all’interno di ogni singolo gigante del Web, in compartimenti delimitati di Internet.
Detto questo, i cookie di terza parte non sono per nulla una soluzione perfetta. Ad esempio, il consenso è difficile da gestire per i siti Web mentre gli utenti hanno meno visibilità dei dati memorizzati e meno controllo sulle modalità di condivisione delle loro informazioni. Ed è per questi motivi che il cambiamento viene accolto con entusiasmo da quelli di noi che apprezzano la privacy dell’utente.
Verità N° 3: Un settore pubblicitario trasparente e corretto è essenziale per l’open Internet
Le esperienze personalizzate non solo generano valore per gli utenti che vedono annunci rilevanti per loro, ma per la società nel suo complesso. Questo perché le esperienze rilevanti generano revenue che supportano finanziariamente l’open Internet, in cui le persone possono usufruire di contenuti e di servizi gratuiti. Infatti, una ricerca di OKO Digital mostra che le revenue pubblicitarie dell’editore in Safari (in cui i cookie di terza parte sono già bloccati) sono circa la metà di quelli in Chrome, in cui i cookie di terza parte vengono ancora accettati. I dati propri di Google mostrano un calo medio del 62% delle revenue degli editori. Ciò danneggerà principalmente quegli editori o quelle aziende che non possono contare su una user base registrata. Molti di questi non saranno in grado di compensare la perdita di revenue pubblicitarie con le sottoscrizioni e potrebbero essere costretti a chiudere, il che sarebbe probabilmente causa di un calo importante di fornitori indipendenti di contenuti sull’open Internet. Se in futuro una parte significativa del Web si baserà sulle sottoscrizioni, questo limiterà l’accesso ad ampie parti della popolazione di Internet. Ciò presenta enormi implicazioni, e non solo per il settore della pubblicità, ma anche per la libertà di stampa sul Web.
Da irlandese che vive a Parigi, controllo regolarmente molte fonti per restare aggiornato sulle possibilità di svago, o craic (ecco per voi una parolina irlandese), e su quello che succede in patria. Tra queste fonti vi sono siti come The Irish Times, Journal.ie, RTE, e l’Irish Independent. Tutti questi siti ricevono denaro dalla pubblicità. La perdita di qualcuna di queste fonti credibili significa perdere voci critiche che mi aiutano a crearmi un’opinione informata degli eventi correnti. Avere accesso a una gamma variegata di notizie e di opinioni è davvero vitale, specialmente in un momento in cui molte fonti di notizie sono diventante molto parziali o forniscono contenuti di dubbia qualità.
Un’altra involontaria conseguenza potrebbe essere che dopo questa transizione, un numero maggiore di inserzionisti potrebbero rivolgersi ad ambienti protetti (walled garden) semplicemente perché pensano che lì sia più facile rivolgersi a delle audience. Se ciò dovesse avvenire, i prezzi su quelle piattaforme salirebbero, a causa dell’aumento della richiesta, mentre scenderebbero altrove (in quanto è improbabile un aumento dei budget nell’insieme). Oltre alla perdita di revenue per gli editori indipendenti, anche gli inserzionisti potrebbero vedere un deciso calo del loro ritorno sull’investimento pubblicitario e un aumento della dipendenza da pochi grandi attori.
Che cosa significa questo per Criteo e per i nostri clienti?
Noi di Criteo, ci stiamo già preparando, adattando i nostri prodotti per supportare i clienti durante questi cambiamenti e sviluppando nuove offerte, per stare al passo con la transizione e garantire il costante successo dei nostri clienti. Nel corso di questo processo, ci assicuriamo che questi adattamenti vengano compiuti tenendo presente i futuri cambiamenti, con l’obiettivo dell’indipendenza dalla tecnologia dei cookie di terza parte. Siamo sempre stati orgogliosi di sviluppare le nostre soluzioni con modalità privacy-by-design, operando rigorosamente con il consenso dell’utente, e mai conservando le PII.
Il nostro Shopper Graph contiene insight approfonditi su un valore di 900 miliardi di USD in transazioni di ecommerce, che osserviamo annualmente nel nostro network di 20.000 clienti. Il nostro network di oltre 4.500 editori colloca Criteo in una posizione esclusiva nel collegare domanda e offerta nel sistema dell’open Internet. Queste connessioni dirette con editori e retailer ci forniscono l’accesso a una grande area con dati di prima parte per consentire ai nostri clienti di rivolgersi ad audience molto ampie ed esclusive, con raccomandazioni personalizzate per gli shopper.
Sappiamo che l’identità ha molti aspetti e il nostro dataset, che comprende lo Shopper Graph, opera su diversi livelli. Abbiamo un insuperato grafico di ID che comprende una quantità significativa di identificatori non cookie. Questi dati sono incredibilmente preziosi per i grandi brand che mancano di informazioni di prima mano su chi sta acquistando i loro prodotti, per i marketer che desiderano raggiungere le loro audience e anche per l’utente, che desidera ricevere annunci rilevanti. Tutti questi dati contribuiscono a generare la scalabilità mondiale della nostra intelligenza artificiale, consentendoci di analizzare segnali di intento di tutte le fonti.
La nostra piattaforma Retail Media aiuta i retailer a gestire e a monetizzare la loro supply onsite, utilizzando la tecnologia di Criteo in un contesto di prima parte. Allo stesso tempo, risaliamo il funnel per targettizzare nuove audience, oltre che canali quali app mobile, video e TV connessa. Inoltre, le nostre capacità di targeting basate sull’audience vengono già utilizzate nelle nostre soluzioni per la considerazione. Il bidder flessibile che abbiamo integrato all’header bidding e alle aste first-price, è in grado di presentare offerte su contesti di siti Web, LiveRamp IDL e molti altri data point.
Criteo è un’azienda privacy-by-design e noi continueremo a incrementare le nostre soluzioni con le nostre esclusive risorse, la nostra profonda competenza sull’intelligenza artificiale, i nostri partner e il nostro network di retailer, brand ed editori. Ecco come continueremo a offrire pubblicità affidabile e d’impatto con modalità che avvantaggeranno tutti gli attori del settore, nonché i consumatori.
In altre parole, pensiamo noi a come rimediare.
Dunque, in che modo creare un’Internet in cui la privacy sia più protetta?
In breve, la risposta è: possiamo crearla insieme. Su una cosa l’intero settore è d’accordo (persino Google): durante questa transizione la collaborazione sarà necessaria.
Anche se potrebbe sembrare che l’eliminazione dei cookie di terza parte da Chrome dia a Google (e ai walled garden) maggior potere, ciò è vero unicamente se noi come ecosistema lasciamo che ciò accada. Noi di Criteo, vediamo avvicinarsi un nuovo mondo e siamo pronti a farne totalmente parte. Siamo convinti che il settore sia molto in ritardo nella sostituzione dei cookie per un targeting pubblicitario personalizzato sul Web, e accogliamo con entusiasmo iniziative condivise del settore per sostituire i cookie con modalità che proteggano la privacy.
In un mondo ideale, collaboreremmo per condividere un ID universale comune che generi pubblicità rilevanti e raccomandazioni sui prodotti, alimentando l’open Internet. E poiché questo ID dovrebbe anche generare attribuzione multi-touch, non potrebbe derivare da un walled garden o da un browser. Potrebbe avere origine da un’organizzazione basata su norme, come il World Wide Web Consortium (W3C), il Media Rating Council (MRC), l’Interactive Advertising Bureau (IAB), o un altro ente amministrativo. Deve anche coinvolgere i marketer – dopotutto stiamo parlando del loro denaro.
Supportiamo una soluzione totalmente trasparente per gli utenti, in cui i dati personali gli appartengano e in cui sia semplice dare consapevolmente il consenso o rimuoverlo, vedere la propria cronologia e personalizzare le proprie esperienze. Siamo convinti che questo cambiamento consentirà a inserzionisti, retailer ed editori di assumere il controllo dei browser Web e di gestire e comprendere i propri clienti grazie a una soluzione a lungo termine, orientata al rispetto della privacy. Ciò continuerebbe a supportare economicamente l’open Internet, mantenendo i servizi gratuiti e disponibili per gli utenti, che potrebbero volontariamente decidere piuttosto che doverlo fare in modo forzato, costretti da una terza parte con interessi non chiari. Ma una tale visione non sarà possibile senza una collaborazione cross-industry.
Può darsi che debbano ancora essere chiariti dei dettagli, ma con la passione, l’intelligenza e il pensiero innovativo che ho visto nel nostro team e nell’intero ecosistema, non ho la minima preoccupazione. Come dice la canzone, anche se può essere “the end of the world as we know it,” [la fine del mondo come la conosciamo], vedo per il futuro l’opportunità e il potenziale per qualcosa di migliore, e ne sono lieto.