Nell’ambiente competitivo di oggi, gli effetti della chiusura di punti vendita si avvertono nei centri commerciali e nelle vie maestre di tutto il mondo.
Amazon punta ad appropriarsi di Macy’s per diventare il retail di abbigliamento numero uno negli USA nel 2017. Nel frattempo, Ralph Lauren ha appena annunciato che chiuderà il suo flagship store sulla Fifth Avenue di Manhattan. JC Penney (138 punti vendita), Macy’s (68 punti vendita) e Payless ShoeSource (400 punti vendita) sono solo alcuni dei molti giganti del retail che annunciano la chiusura di punti vendita in questi ultimi anni. Il futuro di Sears e Kmart è oggetto di molte congetture. The Limited ha chiuso ognuno dei suoi 250 punti vendita, optando per un approccio unicamente ecommerce. Crocs sta chiudendo 160 dei 558 punti vendita del suo portfolio, mentre gli ex fortissimi Abercrombie & Fitch e Guess ne stanno chiudendo 60 ciascuno. American Apparel è un’altra vittima del settore moda a profilo elevato.
Ma prevedere con ciò la morte dei retailer fisici sarebbe ingenuo. Target, per fare un esempio, solo quest’anno sta aprendo circa 30 punti vendita, espandendo aggressivamente la sua rete di negozi urban-style più piccoli, che attualmente rappresentano solo 32 dei 1.200 di cui è composto il suo potente portfolio. Lululemon, solo in Nord America prevede di aprire altri 30 punti vendita, ma molti nei formati hyper-local, più nuovi e di dimensioni inferiori, e alcuni non vendono pantaloni yoga. Tra le aperture di Target c’è uno spazio di circa 4000 m2 di fronte all’iconico Macy’s sulla 34a Strada, che vanta un enorme spazio di circa 200.000 m2. Nonostante la differenza di dimensioni, la mossa di Target è un sintomo del trend di tutto il settore verso un aggiustamento e una razionalizzazione degli spazi.
Questa contrazione, compiuta da attori seri, indica che esiste semplicemente troppo spazio fisico in un’epoca in cui si effettuano online tanti acquisti di grosse quantità o di singoli articoli, dai calzini sportivi all’abbigliamento su misura di qualità e costo più elevati. Questo è valido per tutto il settore, ma in modo particolare per i grandi magazzini di maggiori dimensioni, in cui nella corsa ad accaparrarsi spazio sembra essere stata trascurata la differenziazione.
Il retailing fisico sta incorporando il nuovo modo di pensare dell’ecommerce. Dove il retail fisico si è distinto in modo particolare rispetto all’ecommerce è nel gusto di fare shopping e nel portarsi a casa qualcosa che sta veramente bene. Esistono più occasioni in cui ciascuno può imparare dall’altro.
L’ultimo report di Criteo sull’abbigliamento, Riconciliare la tecnologia con il tattile, svela gli ultimi trend studiati dagli ecommerce retailer della moda per trasformare gli aspetti negativi in opportunità. Anche se l’online non può essere “tattile”, può però coinvolgere di più emotivamente. Sono in aumento video, collezioni curate e storytelling su come indossare le collezioni, oltre che gli stessi brand.
Le taglie sono un altro importante ostacolo per l’online. I tassi di restituzione sono circa del 28%. Anche se è vero che i figli del millennio in particolare amano comprare in grandi quantità da cui scegliere poi a casa per puro divertimento, esiste però un problema maggiore e più dannoso: la mancanza di taglie standardizzate che causa i resi. Nuovi software di visualizzazione a 360°, l’aumento delle politiche di reso gratuito e una nuova tecnologia di etichettatura stanno migliorando la situazione.
Verso la pratica di quel 46% di clienti che ama lo “showrooming” (verificare un articolo in un punto vendita fisico per poi acquistarlo su Amazon o altrove online) i punti vendita hanno sviluppato oggi un approccio più rilassato. L’impronta fisica ridotta pone maggiore enfasi sull’esposizione e sulla presenza di personale di vendita competente, rendendo l’esperienza tattile più “divertente”, che si conclude con l’acquisto, nel punto vendita oppure online.
Il 69% di noi che invece visita il “webroom” ama quel connubio tra una vetrina ecommerce e l’esperienza tattile in-store. I webroomer non vogliono aspettare neanche un giorno per i loro acquisti. Non vogliono pagare per la spedizione e soprattutto vogliono toccare con mano un prodotto prima di acquistarlo. Clienti sempre più sicuri chiedono sempre più spesso che anche i punti vendita offrano il prezzo online.
I retailer fisici più smaliziati usano reparti temporanei all’interno del punto vendita per campionature di prodotti e articoli esclusivi personalizzati. Molti stanno reintroducendo i caffè o altre aree di ristoro per potenziare l’esperienza in-store, ma dovrebbero anche imparare dai “Mi piace” di Amazon e di Google sulle spedizioni in 2 giorni, di 1 giorno o nello stesso giorno, sui resi incondizionati e sulla qualità dell’assistenza in diretta di persone reali. Dovrebbero inoltre riprendere le loro storie di brand e lo storytelling. Questo è qualcosa che ai rivali digitali spesso manca. E oggi per i retailer il passaggio dalle passerelle al punto vendita è molto più rapido. In un mondo globale e sempre connesso manca totalmente la pazienza di aspettare per tanto tempo.
I retailer dell’ecommerce possono cercare di potenziare il piacere dell’esperienza di shopping online mediante la nuova tecnologia, che consente visualizzazioni a 360° e immagini di prove personalizzate, come gli specchi magici di eBay, che permettono di simulare in-store l’acquisto spontaneo dell’utente mediante l’uso di programmatic per suggerire quale camicia sta bene con quei determinati jeans (gli strumenti Cross-Sell di Criteo) e prodotti sponsorizzati. Ed è ovvio che dovrebbero essere sempre connessi, specialmente nei periodi di vacanza.
Soprattutto, entrambi i settori dovrebbero imparare l’uno dall’altro la personalizzazione. Se esisteva un problema importante insito nel sorgere di punti vendita simili a enormi scatoloni che oggi stanno rapidamente passando di moda, questo era la de-personalizzazione dell’esperienza. Parole come “su misura” e “personalizzato” tornano di moda, perché fanno sentire i clienti speciali e lo shopping quello che si suppone che sia: divertimento.