Questo articolo è stato pubblicato originariamente su IAB Europe il 17 novembre 2021.
Chiunque lavori nel settore dell’advertising, dai marketer ai media owner, dagli agency head ai proprietari di piccole aziende, comprende l’esigenza di coinvolgere nuovi consumatori per ampliare la portata della sua attività. Inoltre, sa che, per farlo, il programmatic advertising è uno dei metodi migliori.
Ma oggi siamo a un bivio. Una strada ci conduce a un’Internet che assomiglia ai walled garden del passato (ad es., AOL, CompuServe e Prodigy che possedevano e gestivano l’infrastruttura di Internet negli anni ‘80). L’altra strada conduce ai marketer e ai media owner che mantengono la loro scelta di business partner per operare e far crescere il loro business.
Ciò è dovuto a un certo numero di Internet gatekeeper che preferiscono sostituire le proprie soluzioni per aiutare media owner e marketer a gestire l’advertising. Dal momento che, per supportare questi casi d’uso business-to-business vengono raccolti e trattati gli stessi dati personali (dal punto di vista del consumatore), parliamo principalmente di concorrenza di mercato, non di privacy. Quindi, se vogliamo veramente proteggere la scelta di persone, media owner e marketer, dobbiamo trovare un equilibrio tra i diritti importanti delle persone relativamente alla privacy e alla possibilità delle aziende, specialmente quelle più piccole, di trarre vantaggio dalla collaborazione con i partner della supply chain.
A questo scopo, dobbiamo essere chiari su quali dati costituiscono una minaccia alla privacy delle persone (come le categorie sensibili di informazioni o attività collegate alla loro identity) e quali dati sono stati sottoposti a protezioni privacy-by-design, come gli identificatori casuali o anonimizzati che costituiscono un rischio molto ridotto.
Grazie ai 20 anni di esperienza nella gestione e nell’innovazione del prodotto, oltre che nel supporto ai diritti dei consumatori alla privacy e a un’open Internet supportata dalla pubblicità, ci siamo spesso confrontati sul tema dell’addressability. In queste conversazioni continuo a osservare gli stessi concetti sbagliati che non contribuiscono a migliorare la privacy delle persone, e ancora meno ad aiutare marketer e media owner a pianificare il futuro degli addressable media; ecco perché ora vorrei chiarire questi malintesi.
Idea sbagliata 1: i cookie sono identificatori
La confusione sui cookie è una delle incomprensioni che sento più di frequente. Molte persone confondono il meccanismo di memorizzazione di un cookie con l’identificatore che spesso contiene. Questi identificatori possono essere usati nel digital advertising o per ricordare che cosa c’è in un carrello di online shopping. I cookie sono semplicemente file che contengono identificatori, simili all’indirizzo scritto su una busta. Questi identificatori aiutano i marketer a presentare il messaggio corretto alle persone, in quanto gli permettono di comprendere come migliorare l’engagement della loro audience, a quantificarne la performance e a migliorare le modalità di allocazione dei loro futuri budget.
Continua anche a crescere la sensazione che i first-party cookie siano “buoni”, mentre i third-party cookie no. Ciò avviene perché molti pensano che siano solo i cookie a causare problemi di privacy, che invece si verificano in seguito alla raccolta e al trattamento dei dati personali, indipendentemente dal fatto che l’organizzazione raccolga dati first o third party.
Ecco perché è di importanza cruciale che le organizzazioni di tutte le dimensioni aderiscano a rigorose operazioni privacy-safe per la raccolta e il trattamento dei dati personali. Se devono ricevere dati associati all’identità delle persone (come commercianti che spediscono merci al domicilio dei consumatori), è importante che mettano in atto misure tecniche e operative appropriate per tenere queste informazioni separate dai dati anonimizzati richiesti normalmente per gestire e far crescere il loro business.
Idea sbagliata 2: l’addressability si allontana
La verità è che i walled garden continueranno a offrire audience targeting più preciso, limiti di frequenza e ottimizzazione in tempo reale. La maggior parte inoltre continuerà a supportare l’integrazione dati mediante CRM in cui collegano l’identity delle persone o altre forme di collegamento incrociato di dati per migliorare le loro proprie soluzioni pubblicitarie. Quindi, l’addressability non sta sparendo. L’unico dubbio è se l’addressability sarà disponibile ai concorrenti meno grandi, specialmente quelli che contano sugli identificatori pseudonimi casuali per l’esecuzione di queste stesse operazioni pubblicitarie. Ecco perché l’addressability è un problema di concorrenza – non di privacy.
Secondo una ricerca del 2020 condotta da The Harris Poll, il 66% del tempo dei consumer online viene trascorso sull’open Internet. Tuttavia, la spesa per il marketing è asimmetrica, dal momento che i marketer assegnano solo il 37% della loro spesa pubblicitaria all’open Internet (l’altro 63% va ai walled garden). Ecco perché è così importante che i media owner e i marketer indipendenti abbiano accesso a identificatori responsabili di addressable media.
Idea sbagliata 3: i marketer apprezzano il targeting addressable senza misurazioni
Un aspetto chiave dell’addressability è il miglioramento della modalità con cui i marketer coinvolgono le audience, sia clienti esistenti sia prospect. Ma il delivery (o la reach) è solo una parte del processo. La misurazione di quello che funziona e, ancor di più, di quello che non funziona, aiuta i marketer a migliorare la destinazione della loro spesa limitata, a modificare i prezzi del loro bid, a cambiare la loro strategia di messaggi e, in breve, a ottimizzare il loro ritorno sulla spesa pubblicitaria. Ecco perché l’addressability è importante per il successo delle campagne pubblicitarie.
Eppure essa non interessa solo i media owner e i marketer. Senza l’addressability, i consumatori vivrebbero scarse esperienze a causa dell’eccessiva esposizione allo stesso annuncio per mancanza di limiti di frequenza o di opportunità di connettersi a brand e prodotti da cui trarrebbero profitto ma con cui non hanno avuto ancora niente a che fare.
Inoltre, un reporting non tempestivo e API aggregate non sono adatti a supportare il digital advertising. I lunghi ritardi fanno sprecare budget ai marketer, proporzionalmente al ritardo nel feedback. Maggiore è il ritardo, minore l’efficacia e, di conseguenza, inferiori revenue per gli editori.
Idea sbagliata 4: i segnali contestuali o le email codificate sono un valido sostituto
Le email codificate possono fornire ottime user experience cross-device ma non sono una soluzione completa per l’addressable advertising. Solo ID di utenti non registrati saranno in grado di fornire un quadro completo per un ampio range di consumer experience.
Ad esempio, anche se un marketer volesse targettizzare solo persone registrate su vari siti di news, questo da solo non gli fornirebbe la view-through attribution per le persone che visitano il suo sito Web qualche giorno dopo, perché la maggior parte dei marketer non ha bisogno che le persone si registrino quando visitano il loro sito Web.
Allo stesso modo, il targeting contestuale consente ai marketer di coinvolgere l’audience giusta nel momento in cui è più ricettiva rispetto al contenuto relativo all’annuncio, Ma senza la misurazione di quale targeting contestuale sta funzionando meglio, anche sullo stesso sito (e molto meno targettizzando lo stesso argomento su siti diversi), i marketer non possono migliorare il ritorno sulla loro spesa pubblicitaria. Inoltre, il contestuale da solo non riesce a fornire il limite massimo di frequenza o l’attribuzione su cui contano i marketer per potenziare l’efficacia delle loro campagne.
Ecco perché gli identificatori pseudonimi casuali forniscono ai marketer persino più valore di siti che si basano su email codificate o soluzioni contestuali.
Idea sbagliata 5: i dati forniti dagli editori possono sostituire gli identificatori per tutte le organizzazioni
La verità è che, anche se i dati first-party degli editori sono preziosi dal momento che gli editori conoscono le loro audience meglio di chiunque, da soli essi non bastano come sostituzione. Ecco perché gli editori devono arricchire la loro inventory con i dati first-party che li rendono più validi per i marketer.
Tuttavia, come altre tattiche di engagement, essa non supporta il limite massimo di frequenza o l’attribuzione in tutti gli editori. I marketer hanno bisogno ancora di identificatori addressable responsabili per creare un collegamento tra l’esposizione sul sito dell’editore e le attività che vi vengono svolte.
In breve, l’engagement è solo uno dei tre aspetti importanti dell’addressability, insieme alla misurazione e all’ottimizzazione.
In che modo marketer e media owner possono progredire
Pensando al futuro dell’addressability si ha la sensazione che ci siano ancora molti dettagli in sospeso. Tuttavia, ci sono degli step che i marketer possono seguire già ora per avere successo sia oggi sia nel prossimo futuro. Tra questi, troviamo il miglioramento della gestione dei dati first-party e anche il loro arricchimento con informazioni che i marketer o i media owner non hanno ancora.
Ciò è possibile lavorando con partner che possono fornire la tecnologia e i servizi necessari per far crescere il loro business mediante identificatori addressable responsabili. I marketer e i media owner possono far sentire la loro voce anche unendosi al dibattito in corso nel settore con Prebid.org, per trovare i migliori percorsi verso l’addressability.
Esistono procedimenti nei nostri meccanismi di controllo collettivo che è sufficiente adottare per imparare sul percorso. Se vuoi saperne di più sul futuro dell’addressability, puoi guardare il mio IAB Industry Insider Webinar qui.